Otto marzo
Perché lo sciopero «per le donne»
è stato un errore

di Dario Di Vico

Togliamoci subito il dente: lo sciopero delle donne proclamato ieri si è rivelato un mezzo disastro. Se nei sogni di molte doveva essere una grande e pacifica prova di forza capace di dimostrare «per sottrazione» che senza le donne niente funziona, purtroppo non è andata così. Hanno scioperato più uomini che donne. Alla fine il settore più colpito è stato quello del trasporto pubblico, con tutte le ricadute che ben sappiamo sugli strati meno abbienti della società. La piattaforma elaborata dall’associazione Non una di meno era corretta nell’individuazione dei temi, tra i quali femminicidio, disparità di trattamento economico, sperequazione dei carichi di lavoro, educazione. Sono tutte issue più che condivisibili e adeguate per promuovere una giornata di mobilitazione. Ma lo sciopero no. È uno strumento che finisce per coinvolgere attivamente solo una fetta minoritaria del mondo del lavoro, i posti fissi, e soprattutto — non avendo una controparte precisa e una piattaforma immediatamente esigibile — lo sciopero rischia di rivelarsi una dimostrazione di debolezza, non di forza. Ieri infatti alla fine l’astensione dal lavoro nei trasporti o nelle scuole ha finito per pesare su altre donne che sono dovute rimanere a casa perché magari la baby sitter non poteva raggiungerle. La vicenda dell’8 marzo suggerisce però una considerazione di carattere più generale e che si può sintetizzare così: ha senso oggi coltivare ancora la separatezza delle donne? O piuttosto si tratta di spendere la loro grande forza morale e le loro straordinarie motivazioni per ricucire le nostre società e liberarle dal cinismo e dall’indifferenza? In fondo se vogliamo davvero «salvare l’Occidente» oggi c’è bisogno di più giustizia sociale e le donne in materia sembrano sicuramente le più attrezzate.

© RIPRODUZIONE RISERVATA