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_ Commento di Il_Gobb _ profilo homepage
_ scritto il 21.01.2012 alle ore 15:32
Avidità. Cani con l'osso, punto.
_ Commento di MetalleR _ profilo
_ scritto il 22.01.2012 alle ore 14:28
Megaupload era un'attività caratterizzata da ampi margini di illegalità ed è normale, in molti sensi anche "giusto", che sia stata chiusa. Anche se il sottoscritto, e immagino praticamente tutti noi, ne faceva ampio utilizzo, e anche se non capisco bene in base a quale diritto internazionale l'FBI ottiene l'arresto-lampo di un cittadino europeo al di fuori del suolo USA.

Il problema però permane, ed è grosso come una casa. Perché se questi signori pensano che chi negli ultimi 5-6 anni si è abituato a scaricare film comodamente da casa sua, in 5 minuti, ad ogni ora del giorno e della notte, attingendo ad un catalogo virtualmente infinito, da qualsiasi parte del mondo... possa mai tornare al "vecchio" modo di fruire del mercato multimediale (prendo la macchina e vado al negozio), allora stanno freschi.

Ovviamente, non lo pensano. Saranno degli avidi figli di puttana quelli delle major di produzione, ma non hanno l'anello al naso (almeno non tutti). Tempo fa ho parlato con l'AD di Universal Italia che presentava per l'Italia un film, e gli ho detto proprio questo: loro "lanciavano" una cosa che io avevo già visto 8 mesi prima, in streaming sottotitolato, gratis. Lui mi ha risposto che lo sanno benissimo, ma che per ora non possono fare che buon viso a cattivo gioco. In sostanza, una colossale pantomima in cui continuano a sostenere un sistema "di facciata", fatto di lanci ed esclusive, quando sanno benissimo che ormai si tratta di un guscio sempre più vuoto.

Allora perché il mercato non si evolve nell'unica direzione che appare logica e al passo coi tempi? Ossia: un servizio di providing digitale globale a pagamento, efficiente e "consumer friendly"? Ci sono due risposte.

La prima è che, negli ultimi venti anni, la tecnologia ha corso molto più velocemente della politica, del diritto e delle legislazioni. Insomma, tecnicamente siamo già pronti da un pezzo ad avere un mercato globale, ma legalmente no. Abbiamo Paesi con norme di copyright differenti, associazioni e organismi di controllo nazionali, normative aziendali in contrapposizione ecc. Modernizzare tutto questo sistema affinché sia al passo con quello che la tecnologia odierna consente sarà di una complessità mostruosa (ma, per divagare un attimo, sarà l'unica via attraverso cui la crescita economica e sociale potranno passare nei prossimi 50 anni).

La seconda risposta sta nel fatto che la sola produzione e vendita di beni multimediali è solo una fetta dell'industria, e neanche la più grossa. C'è infatti dietro un indotto mostruoso, che è quello del confezionamento/distribuzione/vendita al dettaglio, che col passaggio alla digital delivery verrebbe completamente spazzato via.

A chi fino ad oggi ha stampato e confezionato il disco, lo ha imballato e spedito in altri continenti, l'ha trasportato via nave/aereo/treno/camion a destinazione, l'ha messo sullo scaffale e ce l'ha venduto... cosa gli facciamo fare dopo il fantomatico switch-off che porterebbe tutto sul digitale? Li convertiamo tutti in tecnici di rete e li mettiamo a curare i server?

Consideriamo che quasi sempre i produttori di materiale multimediale hanno anche rami dell'azienda che si occupano proprio della distribuzione\vendita, e si capisce che i colossi semplicemente non accetteranno mai un cambiamento che taglierebbe via di netto una fetta enorme del loro fatturato. Anno dopo anno, vedono ridursi i loro introiti netti, ma non arriverà mai quel giorno in cui i vertici dell'azienda si siederanno intorno ad un tavolo dicendo: "ok, da domani io, tu e tu siamo licenziati perché il nostro ramo dell'azienda è obsoleto". Il gigante per sopravvivere dovrebbe tagliarsi un braccio e una gamba, e non lo farà. In sosatanza, morirà per immobilismo, incapacità di evolversi. Questo è quello che capiterà ad una fetta enorme del mercato attuale.

E' giusto? E' sbagliato? Non lo so, ma è quello che sarà, perché la realtà dei fatti è questa. Le rivoluzioni, come quella digitale che stiamo vivendo, sono sempre traumatiche, ma non si possono arrestare. Io tre anni fa ho perso il lavoro perché facevo un lavoro oggettivamente obsoleto: scrivevo riviste sulla carta stampata, quando io stesso avevo smesso di leggere riviste di carta da anni. Non mi sono lamentato, mi sono rimboccato le maniche e ho cercato di reinvestire la mia esperienza in un lavoro che fosse più al passo coi tempi. Finora ci sono riuscito. Ma io ovviamente sono uno, mentre il personale dell'indotto del multimediale ammonta a milioni di persone in tutto il mondo. Ed è solo uno dei settori che gli avanzamenti tecnologici renderanno obsoleti di qui ad altri 20 anni.

Lo immaginavate tutto questo quando a 14 anni, invece di modificare il motorino come quasi tutti i nostri coetanei, inforcavamo gli occhiali e "ci rimbambivamo davanti al PC", come dicevano i nostri genitori e amici? Io sì... e mi sa anche voi. Oh, avevamo ragione ;)
_ Commento di unochepassa _
_ scritto il 22.01.2012 alle ore 15:39
tutto molto interessante, ma:
a quanto pare il problema si pone solo con musica e film, dal momento che esiste una pericolosissima accolita di criminali che mette a disposizione di chiunque tutto il patrimonio su cui imprese private investono barche di soldi.
questa manica di manigoldi ha un nome: e voi, e tutti noi, tremiam tremate quando risuona il nome di .... (suspense. badabammete!) BIBLIOTECHE!

@MetalleR penso che tutta quella gente lì potrà essere riconvertita a diversi tipi di indotto: oggettistica, informatica eccetera. a quanto so io, conta molto più l'intorno della pietanza.
per dire: un film, se li fa, fa soldi al cinema, poi li rifa' con l'oggettistica legata e con le pubblicità accanto alla visione di promo sito, diritti tv ecc; un disco fa poi soldi con il concerto, con le visualizzazioni pubblicitarie accanto alla visione del video in rete eccetera.
certo, per tanta gente non è un travaso automatico, è una ricollocazione.
io lavoro in una tipografia: è cambiato il mestiere in 20 anni? dio bono! prima si incidevano le lastre, ora si stampa direttamente dal pc. chi ha potuto si è aggiornato, gli altri si sono ricollocati. oppure no.
il cambiamento ci sarà, meglio governarlo in modo che meno gente possibile rimanga a piedi, no?
tanto il cambiamento ci sarà comunque
_ Commento di Il_Gobb _ profilo homepage
_ scritto il 24.01.2012 alle ore 12:16
Sono con Unochepassa: le riconversioni industriali, anche di vastissima e globale portata, non sono niente di nuovo e non sono così traumatiche da fare disastri (certo, parlo solo nell'ottica dei grandi numeri, non dubito che un sacco di gente resterebbe a casa... ma finora ogni rivoluzione è stata seguita da un riassorbimento di competenze in altri campi).

Se non si cambia modello di business è per avidità e scarsa voglia di correre il rischio da parte dei grandi players: si tira il carretto finché c'è qualcosa sopra, quando sarà vuoto si abbandonerà (facendo, fra parentesi, molti più danni collaterali di quelli che produrrebbe un'uscita pianificata dal business). Solita mancanza di lungimiranza del capitalista medio odierno.
_ Commento di MetalleR _ profilo
_ scritto il 24.01.2012 alle ore 19:23
Sinceramente non capisco dov'è che il tuo parere differirebbe dal mio. Mi pare che tu stia dicendo più o meno quello che ho detto io, solo in modo più... vogliamo dire "sbrigativo"? :) Ossia che le aziende non cambiano perché sono avide, immobili, poco disposte a rischiare e poco lungimiranti.

L'avidità ad ogni modo è un fattore scontato: tutte le grandi industrie sono avide di profitti e dividendi. Se le major intravedessero la possibilità di avere profitti maggiori e una struttura più snella (ergo: spartire i soldi con meno plebei), non esiterebbero un istante ad adottare un nuovo modello di business. Non lo fanno proprio perché non hanno alcuna garanzia di riuscire a mantenere lo stesso livello di fatturato tagliandosi gradualmente fuori da una parte molto corposa del loro business, ossia la distribuzione.

Le riconversioni industriali non sono nulla di nuovo, ma non sono neanche una storia fatta solo di successi: enormi aziende del passato hanno tentato di modernizzarsi ma non ci sono riuscite (penso a Kodak, considerata la "Apple" del secolo scorso, che ha avviato proprio la settimana scorsa la procedura di fallimento).

Inoltre, non parliamo di passare dal produrre bulloni al produrre cacciaviti, ma di qualcosa di ben più complesso. Un servizio di digital delivery serio, globale e unificato non potrebbero mai metterlo su le attuali major del multimediale, perché non hanno la struttura e il know how per farlo. Dovrebbero appoggiarsi alle poche gigantesche aziende "digitali" in grado di sostenere una simile sfida (Google, Microsoft, Apple...), alle quali dovrebbero in sostanza girare la fetta di guadagno dovuta all'indotto, che attualmente va nelle loro tasche. E alla quale, comprensibilmente, non vogliono rinunciare in favore di terzi.

Poi rimarrebbe comunque quella questioncina dei diritti internazionali e del carattere globale del mercato di cinema, videogiochi ecc,, che non è affatto secondaria. Localizzare, distribuire e lanciare un prodotto su scala mondiale, facendo a meno degli importatori nazionali, non è affatto una cosa semplice.

Insomma, avidità e mancanza di lungimiranza sì... ma la questione non è affatto così semplice.

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