_ scritto il 28.01.2013 alle ore 13:55 _
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La doverosa premessa è che io adoro i film discontinui, quelli per intenderci che potremmo paragonare ad un grosso puzzle, perché quando esci dalla sala ti ritrovi con tutti i pezzi sul pavimento e le mani nei capelli nel tentativo di ricostruire un'immagine che abbia senso. Per questo motivo, durante la proiezione, ero letteralmente estasiato:
sei storie che si snodano nell'arco di altrettanti secoli, collegate da fili conduttori all'apparenza deboli ma che, man mano che si progredisce nella trama, si fanno sempre più concreti; una
prova recitativa notevole, che vede ciascun attore interpretare personaggi diversi in una "danza della reincarnazione" che fa scattare nello spettatore una sorta di fruizione a basso livello e che lo vede impegnato nell'irresistibile gioco del riuscire a riconoscere chi interpreta cosa; una regia dinamica, mai ferma, frenetica, tanto che la pellicola dei Wachowski sembra un lungo, continuo trailer della durata di 3 ore - e che, citando
Tony Medley, ti fa venire voglia di avere una T-shirt con scritto: "Sono sopravvissuto a Cloud Atlas".
In una parola:
ambizioso. Ma a quanto pare ultimamente alcuni grandi registi
non riescono proprio a reggere dei pesi del genere, perché Cloud Atlas alla fine si rivela molto generoso di fumo, ma l'arrosto purtroppo è rimasto un po' crudo. Sia chiaro: non è immangiabile, e a me non è dispiaciuto completamente. Ma mi aspettavo una cottura più uniforme e sono rimasto deluso. Perché quando hai tra le mani un progetto del genere, secondo il mio modesto parere, devi cercare di essere risoluto anche se intendi utilizzare la trama discontinua in funzione del messaggio da comunicare. L'impressione che ho avuto è che
intorno ai concetti si sia costruita un'impalcatura così forzatamente voluminosa e intricata che il nocciolo è stato sfiorato in maniera approssimativa.
Nel film sono riconoscibili alcuni temi di fondo utilizzati come filo conduttore per le varie storie: fede e aldilà, razzismo, difesa estrema dei propri ideali, ricerca del senso delle nostre azioni e capacità di influenzare quelle del prossimo, amore incondizionato. Ciascuna storia, presa a sé, risulta abbastanza ordinaria (una di esse è un po' troppo "commedia spensierata" e secondo me stona), ma intrecciate insieme e grazie ai tratti somatici degli attori che si ripetono in ciascuno dei sei secoli, il film acquista tutto un altro sapore, anche piuttosto unico nel suo genere. O forse è meglio dire: avrebbe acquistato tutto un altro sapore, se i Wachowski non fossero stati talmente tanto impegnati nel creare una "complessità leggibile" da non accorgersi che la stavano trasformando in "
complessità apparente". Perché è vero che i messaggi ci sono eccome, ma il modo in cui sono raccontati sfocia in maniera irreparabile nel
superficiale.
In Cloud Atlas ho trovato
tanti spunti, alcuni particolarmente azzeccati altri banali, ma
poche - vere - idee. E un film che mi offre qualche spunto debole e scontato con un'impalcatura sovradimensionata rimane solo un (più o meno) piacevole esercizio di stile.